Negli ultimi anni l’evoluzione del sistema sanitario e le crescenti evidenze scientifiche sull’efficacia dell’accesso diretto alle prestazioni fisioterapiche hanno posto l’accento sull’importanza di ridefinire il percorso formativo del fisioterapista. Tuttavia, il panorama attuale ci presenta una realtà allarmante: la figura del fisioterapista rischia di essere oscurata da altre professioni emergenti che, con strategie più incisive, stanno guadagnando spazio e rilevanza nell’opinione pubblica.
La nostra professione sembra in una fase di decadenza. Confinati entro limiti professionali strettissimi come la riabilitazione domiciliare, le RSA e i centri di riabilitazione, sembriamo aver perso lo slancio necessario per rispondere alle sfide di un mercato sanitario in continua evoluzione. Nonostante un profilo professionale chiaro e autorevole, che sottolinea la nostra autonomia e competenza nel trattamento di disabilità motorie, psicomotorie e cognitive, ci troviamo a osservare passivamente mentre altri si appropriano del nostro campo d’azione.

Oggi, assistiamo a un fenomeno inquietante: nell’opinione pubblica sembra essersi affermata l’idea che l’osteopata sia una sorta di fisioterapista 2.0, una versione evoluta e più moderna della nostra figura professionale. Paradossalmente ci sono colleghi che dopo la laurea hanno scelto di studiare osteopatia, come se fossero incompleti o semplicemente per essere più appetibili sul mercato? Come siamo arrivati a questo punto? Come è possibile che la percezione collettiva ci abbia relegato al ruolo di una professione superata, lasciando spazio a figure che, riescono a conquistare la fiducia delle persone con più efficacia?
È qui che dobbiamo fare un mea culpa. In parte, abbiamo smesso di comunicare. Abbiamo lasciato che fossero altri a raccontare la storia, a costruire narrazioni accattivanti che hanno reso le loro competenze percepite come superiori, quando in realtà il nostro bagaglio scientifico e professionale è solido e insostituibile. Siamo rimasti fermi, ancorati al nostro mondo, senza investire abbastanza nel far comprendere alla società chi siamo davvero e cosa possiamo offrire.
E ancora, siamo stati poco presenti sul territorio, poco incisivi nel dimostrare concretamente il nostro valore. Il risultato è che ora ci troviamo a dover recuperare terreno, a riprenderci un posto che è nostro di diritto, ma che non ci verrà riconosciuto automaticamente. La responsabilità è nostra: non possiamo più permetterci di essere spettatori passivi.
È il momento di agire. Di uscire dai confini ristretti in cui ci siamo autoimposti e di affermarci come una professione moderna, competente e indispensabile. Comunichiamo meglio, comunichiamo di più. Parliamo con i pazienti, con i colleghi, con la società. Mostriamo cosa significa davvero essere fisioterapisti e perché la nostra figura è fondamentale per la salute pubblica.
La decadenza non è inevitabile: è una sfida. E ogni sfida può essere trasformata in opportunità. Il futuro del fisioterapista dipende da noi, dal nostro impegno, dalla nostra capacità di reinventarci e di rivendicare il ruolo che ci spetta nel panorama sanitario moderno. Facciamoci sentire. Parliamone.
Il post continua qui perché avevo altro da dirvi.